Nel pugilato, arte sportiva tra le più nobili (così definito, appunto, perché era uno sport praticato, in origine, dai nobili, tant’è vero che le sue regole iniziali furono istituite da John Sholto Douglas, un marchese scozzese), quando un avversario è nettamente più forte dell’altro, per evitare “guai maggiori” l’arbitro decreta il KO tecnico: non si arriva, cioè, al KO, con uno dei 2 contendenti a terra, ma l’incontro viene fermato prima, per “manifesta inferiorità” di uno dei pretendenti.
Quello che si è verificato ieri a Parigi, dove è stata assegnata l’Expo 2030, ricorda molto da vicino la situazione di cui sopra.
Tre erano le città (e quindi i Paesi) candidate: Roma, Busan (Corea del Sud) e Riad (Arabia Saudita). I Paesi che compongono l’assemblea del Bureau International des Expositions sono 182. Di questi, hanno votato in 165. Su 165 voti, Riad ne ha portati a casa 119, Busan 29, Roma 17. Numeri implacabili, che non lasciano spazio al minimo dubbio e alla minima difesa.
Si dirà: si sta parlando di una Fiera internazionale, cosa sarà mai.
In realtà, le cose non sono proprio così banali. Prima di tutto da un punto di vista economico; ma anche da un punto di visto politico ci dicono qualcosa.
Che l’Arabia Saudita sia il nuovo “Eldorado” lo si è capito da un po’: basta pensare alla “faraonica” campagna acquisti nel calcio di questa estate, che ha portato molte stelle del calcio (e qualche allenatore…) alla corte del regime saudita, con ingaggi plurimilionari. Che, in pochissimo tempo, hanno portato all’obiettivo prefissato, vale a dire essere la sede dei Mondiali di calcio del 2034 (altro affare miliardario; ma già prima l’Arabia Saudita era stata scelta come sede della Coppa d’Asia 2027).
E’ la volta, ora, dell’Expo Internazionale del 2030. Una manifestazione in grado, visti gli investimenti colossali ed il richiamo mondiale, con l’arrivo di milioni di visitatori (si calcola che, se si fossero svolte a Roma, le presenze avrebbero superato i 30 ML) di cambiare le sorti di un Paese (o almeno della città che lo ospita).
Per Roma (c’è da dire che la nostra Capitale non è molto fortunata in questa manifestazione: infatti, avrebbe dovuto ospitare l’edizione del 1942, con un intero quartiere, l’EUR, costruito per l’occasione, ma gli eventi bellici impedirono quell’edizione) avrebbe significato un giro d’affari di oltre € 50 MD, con, si stima, la creazione di 300.000 posti di lavoro e la nascita di circa 11.000 nuove imprese. Cifre che vanno ben oltre un semplice “impatto” metropolitano, ma vanno ad incidere sull’economia di un intero Paese. Da qui il significato politico che si cela dietro la candidatura di una città e di un Paese.
Evidentemente, ad uscirne sconfitta non è solo l’amministrazione capitolina, ma anche un Paese (e, almeno in questa occasione, non solo un Paese). Decidere di portare avanti una candidatura così importante (ma così sarebbe anche per un’Olimpiade o un altro evento di richiamo internazionale) non può prescindere da un intervento “politico” centrale, in grado di supportare (economicamente, mediaticamente, politicamente) la decisione. In questo caso, poi, visto che Roma era la sola candidatura europea (come logico che sia: schierare 2 città europee avrebbe significato una guerra “fratricida”), ci si sarebbe aspettato un voto compatto dei delegati europei. Purtroppo così non è stato: Francia e Spagna, per citare 2 tra i Paesi più influenti, hanno voltato le spalle a Roma. Per non parlare dell’Albania, con cui le relazioni, a quanto pare, ultimamente sono diventate ben più che amichevoli. A conferma che l’Europa, quando si tratta di temi che non riguardano unicamente i rapporti “interni” tra i 27 Stati membri, un po’ disunita lo è e ognuno prende la strada ritenuta più utile per sé, venendo meno, quindi, quell’idea “comune” che dovrebbe essere alla base di una comunità.
Indubbiamente, peraltro, la scelta non è stata dettata solo da “alleanze politiche” e mera convenienza economica (i “petrodollari” fanno comodo a molti), ma anche dalla qualità e dall’entità degli investimenti previsti. E qui la vittoria è altrettanto netta: si parla, infatti, da parte di Riad, di oltre $ 7,8 MD di investimenti. Solo per la campagna promozionale, l’Arabia ha investito $ 190 ML, contro i 160 di Busan e i 30 di Roma. Insomma, un po’ come andare “alla guerra” con arco e frecce, mentre il nemico usa armi di ultima generazione. Ma, a rendere ancora più amara la sconfitta, la convinzione che la “città eterna” era considerata favorita. Cosa evidentemente non vera, osservando alcune sfumature a margine del voto, come, per esempio, l’arrivo del corteo saudita, composto da innumerevoli auto di rappresentanza, da cui sono scesi i rappresentanti della monarchia già quasi “festanti”, segno che la percezione era un po’ diversa.
Nonostante le chiusure positive di ieri sera a Wall Street (Dow Jones + 0,24%, Nasdaq + 0,30%, S&P 500 + 0,10%), questa mattina gli indici asiatici rimangono “al palo”.
A Tokyo il Nikkei perde lo 0,26%, penalizzato dalla forza dello yen, tornato ai massimi di settembre, e che penalizza l’export.
Shanghai arretra dello 0,56%. Ieri il Governatore della Banca Centrale ha affermato che nel 3° trimestre l’economia è cresciuta del 4,9% su base annua, appena sotto il livello fissato dal Governo cinese (+ 5%), lasciando intendere che le previsioni sono confortanti.
Peggio va a Hong Kong, dove l’Hang Seng scivola di oltre il 2,42%.
Tutti in rialzo i futures, anche se con percentuali piuttosto modeste (+ 0,10/0,20%).
In rialzo le quotazioni del petrolio, con il WTI a $ 76,03 (stabile questa mattina).
Ancora in discesa il gas naturale Usa, a $ 2,774 (- 2,43%).
Oro a $ 2.065, sempre più vicino al record storico (2.075, agosto 2020).
Poco mosso lo spread (176,6), per un BTP al 4,25%.
Bund di nuovo in discesa (2,49%).
Treasury 4,30%, dal 4,40% del giorno precedente.
€/$ vicinissimo a 1,10 (1,0988).
“Strappo” del bitcoin, che supera i $ 38.000 (38.118).
Ps: 80 anni e non dimostrarli. Robert De Niro ne ha dato prova alla consegna dei premi cinematografici Gotham a New York. Leggendo il suo discorso sul “gobbo”, si è accorto che qualcosa era stato cambiato: infatti, gli organizzatori (Gotham e Apple) avevano provveduto a “tagliare” il suo intervento, piuttosto critico verso Donald Trump e, invece, molto vicino ai nativi indiani (forse per la sua interpretazione, insieme a Leonardo di Caprio, nell’ultimo film di Martin Scorsese, Killers of the Flower Moon). Al che ha interrotto la lettura dal “gobbo”, ha preso il suo cellulare e ha ricominciato a leggere da capo il discorso che lui aveva preparato. Evidentemente si è grandi attori non a caso.